Architettura e ascolto: così possono rinascere i borghi e le comunità
7 Febbraio 2022Centro Polifunzionale per famiglie TALEA
12 Gennaio 2024LAP architettura: la rigenerazione territoriale che parte dagli affetti
di Veronica Lempi
Per rigenerare i territori, LAP architettura parte dall’ascolto delle comunità e definisce mappe affettive. Il risultato? Edifici confiscati alla malavita che diventano ‘safe space’
Se esiste un modo di progettare completamente integrato nel territorio di destinazione, a validarlo può essere solo chi vive quel luogo da sempre. La comunità, con tutte le sue tradizioni, abitudini, ricordi e passioni, è l’unica istituzione da convincere perché un progetto venga ben accolto.
Il giovane studio di architettura LAP, specializzato in progettazione partecipata volta a recuperare le aree in stato di distruzione (spesso si tratta di piccoli borghi abruzzesi annientati dal terremoto Terremoto dell’Aquila del 2009), ha afferrato il punto. Tanto da inserire nelle sue dinamiche progettuali la ‘passeggiata comunitaria’: una giornata collettiva dedicata al primo sopralluogo mirato all’ascolto delle voci locali, sul posto.
Un esercizio di umiltà, ma anche di rispetto fondamentale quando si lavora con territori annientati e si progetta con l’obiettivo di restituire dignità e futuro alla comunità.
L’ultimo lavoro – in attesa di conferimento di bando nazionale dall’Agenzia della Coesione, ma che diversamente verrà comunque portato avanti in via autonoma da LAP – si chiama ‘La casa dei Mandarini’ e ha sempre a che vedere con la rinascita: una abitazione privata locata a Santa Maria Imbaro (Chieti) e confiscata nel 2010 alla malavita diventerà per mano di LAP un ‘safe space’ polifunzionale all’insegna della libertà.
Perché ‘La casa dei mandarini’?
Un mandarino sopravvissuto a un avanzato stato di degrado è stata l’unica traccia di vita trovata durante la prima visita alla struttura. Ci ha stupito come sia resistito, dopo tanti anni e in un tale stato di abbandono. È stata per noi l’ispirazione che ha illuminato il progetto, la luce simbolo di resilienza.
Ritroveremo il mandarino nel progetto?
Sì, abbiamo utilizzato il frutto del mandarino anche come stimolo progettuale: immaginando di scomporlo, abbiamo attinto dalle sue caratteristiche per unire l’interpretazione concettuale e quella di disegno.
La buccia per esempio, elemento protettivo e poroso che lascia passare i nutrienti, ci ha ispirati per l’ideazione della facciata su strada dell’edificio, prima completamente serrato e ora progettato come varco d’ingresso e contatto tra il mondo esterno e quello interno; la facciata principale è stata mantenuta così come era: sia perché posizionata in centro storico sia perché per noi mantenere inalterati aspetti seppur non di eccessivo valore ma cui gli abitanti locali sono abituati è fondamentale, non ci piace creare distacco e ‘irrompere’ nell’equilibrio della comunità.
Quale sarà la funzione della struttura?
Sarà un ‘safe space’. Un luogo in cui trovare dimensione di protezione, speranza e futuro. Il sociologo Carlo Colloca, affermato nel settore e che ha lavorato con noi allo studio del progetto, lo chiama ‘Il luogo dove si generano anticorpi per la comunità’.
Sarà uno spazio polifunzionale attivo 24/24. Sarà luogo di formazione, vi saranno anche laboratori scolastici, laboratori per la cittadinanza, spazi per la relazione, spazi sanitari e dedicati alla piccola economia.
Abbiamo lavorato con l’obiettivo di creare differenti livelli di privacy: al piano terra, direttamente accessibile dall’esterno, vi sarà un bar gestito dalla Pro Loco locale insieme con una cooperativa specializzata in corsi di trasformazione di prodotti alimentari (in questo caso che verranno coltivati in loco).
Vi sarà poi una zona privata, non accessibile dall’esterno, dedicata alla formazione per gli addetti ai centri anti violenza e altri spazi a rotazione dedicati a un consultorio e uno sportello per il supporto psicologico, per esempio.
Al piano superiore invece, che gode di un accesso diretto dall’esterno e non è collegato con il piano inferiore, saranno posizionate diverse bolle suddivise per aree: una ludica per i bambini, uno spazio lettura disponibile anche per presentazioni e proiezioni e un ultimo dedicato al co-working o ai progetti di studio.
Al piano ancora superiore – soppalco – vi è uno spazio dedicato alle attività informali a tu per tu. Al piano interrato invece, accessibile sia dall’esterno sia dall’interno, ci saranno laboratori dedicati alle scuole: sala fotografia, musica e sala registrazione. Ci ha aiutato in questo la Dott.ssa Agnoli.
La vostra firma è riconoscibile nel metodo di ascolto della comunità. Cos’è?
Si tratta di una passeggiata della durata di una o più giornate, con cui abbiamo invertito l’idea del sopralluogo. Abbiamo notato che il mero sopralluogo tecnico non ci proponeva le informazioni giuste. Chiediamo al Sindaco e alle organizzazioni locali di volta in volta che siano loro a condurci e a decidere cosa e dove andare durante questa giornata.
Cosa vedere, il tempo di sosta nei vari luoghi dipende da loro. Traduciamo poi tutto questo in una mappa affettiva, una sorta di mappa diacronica in cui il paese si deforma (si amplia o si restringe in base alle variabili che emergono) che esponiamo per un periodo nel centro del paese/del luogo di lavoro, disponibile alla fruizione di tutti.
È mai capitato che aveste ideato creativamente un progetto poi irrealizzabile per via delle distanti richieste/necessità della comunità?
Sì. Un esempio concreto è stato il caso di Pizzoferrato, avevamo progettato una struttura bellissima a livello architettonico ma che non si allineava per nulla con quanto emerso.
Abbiamo quindi virato sulla costruzione di una terrazza a sbalzo con vista che andasse oltre l’utilità e fosse l’incarnazione dei ricordi e dell’affetto emotivo che la popolazione locale aveva sviluppato nei confronti del luogo.
Nel caso della Casa dei Mandarini come è andata?
Abbiamo raddrizzato in corsa la funzione della struttura. Inizialmente era nato come un progetto prettamente sanitario, mirato all’attività anti-violenza, perché era ciò che volevamo regalare alla comunità. Poi ci siamo resi conto che la richiesta era quella di avere a disposizione un luogo positivo, aperto alla socialità.
Rimarrà comunque un punto di riferimento per le strutture anti-violenza (che sono numerose sul territorio): sarà il luogo di formazione e aggiornamento per chi opera nel settore. È stato bello riscontrare la risposta delle istituzioni anti-violenza e delle cooperative per la futura gestione di questo bene. Sono arrivate tantissimi manifestazioni d’interesse.
Le nuove parole chiave sono state: apertura, gioia, libertà. Abbiamo quindi lavorato sul concetto della trasformazione: da luogo pericoloso (fino al 2010) a luogo di risorsa e di vita sociale.
Qual è stato l’elemento centrale per la trasformazione?
Siamo partiti dal muro di cinta. Durante il primo sopralluogo siamo rimasti sbalorditi dall’immensità dello spazio esterno, che però era limitato da un muro alto più di 3 metri. Questa barriera limitava la potenzialità del verde e anche la meravigliosa vista sulle montagne abruzzesi: c’era la esigenza di chiudersi dal mondo esterno.
Eliminandolo siamo riusciti a creare anche una connessione interessante con il centro storico direttamente dall’interno; in più abbiamo notato che attraverso un percorso studiato ad hoc il giardino si può connettere con il retro di una scuola che affianca l’abitazione.
Solo abbattendo il muro dato vita a una vera e propria rete di connessioni, ovvero quello che vogliamo diventi questo luogo.
Hanno collaborato al progetto l’Architetto paesaggista Marilena Baggio, il Prof. Carlo Colloca docente di Analisi sociologica e metodi per la progettazione del territorio presso l’UNICT, la Dott.ssa Antonella Agnoli progettista culturale, la Dott.ssa Nicla Roberto fundraiser e CIVICA – proposto nell’ambito della Strategia Nazionale per la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie prevista dal PNRR.